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Mobilitarsi per la mobilità sostenibile PDF Stampa E-mail
Lunedì 14 Settembre 2009 13:26
Mobilitarsi per la mobilità [sostenibile]

Pubblichiamo l'editoriale di Gerardo Marletto che presenta il numero di settembre della rivista Valori, dedicato al Futuro auto-immune e a spiegare perché, a causa dei troppi interessi economici in gioco, l'Italia continua a rifiutare la mobilità sostenibile

La questione della mobilità sostenibile è ormai un paradosso. Da una parte ci sono l’inquinamento, i danni alla salute, la congestione; dall’altra, esperienze estere che basterebbe copiare per ridurre tutti questi problemi, specialmente a livello urbano. Eppure nulla accade. Perché? La ragione di questo paradosso è una sola: fortissimi sono gli interessi che premono per la conservazione dell’attuale sistema di mobilità, mentre è assente una mobilitazione che si contrapponga a questi interessi e spinga per il necessario cambiamento. Ma andiamo con ordine.
La mobilità genera problemi. Non si tratta solo dei danni ambientali in senso stretto [in particolare l’emissione di CO2]: ci sono anche i danni alla salute provocati dall’inquinamento dell’aria e dal rumore; ci sono gli ostacoli all’accessibilità causati da sistemi di trasporto collettivo incapaci di adattarsi a città che crescono «a macchia d’olio»; ci sono infine i costi economici dovuti alla conseguente necessità di dotarsi di una, due, tre auto per famiglia. L’auto da strumento di libertà è diventata segno di schiavitù: schiavitù agli appetiti di costruttori e immobiliaristi, che sono i veri artefici di città ormai a misura di automobile; schiavitù agli interessi dell’industria automobilistica che, con la scusa di promuovere i veicoli «ecologici», continua a beneficiare di massicci incentivi. Una schiavitù moderna, incatenata da una propaganda orwelliana: più di un miliardo di euro spesi nel 2008 solo in Italia per convincerci a comprare sempre più automobili.
Le soluzioni a questi problemi sono note e puntano a ridurre il numero delle auto e ad aumentare le alternative di trasporto: città compatte che crescono intorno alle stazioni delle reti ferroviarie; progettazione dello spazio urbano a misura di ciclisti e pedoni; trasporti collettivi capillari, frequenti e con orari e biglietti integrati; sistemi innovativi come il bus a chiamata, il taxi collettivo, il car sharing per le persone e la city logistics per le merci. In Europa è possibile vedere applicato un approccio così radicale di uscita dal sistema dell’auto; esso, anche se non dichiarato, caratterizza la Svizzera, l’Olanda, la Danimarca. Non a caso tutte nazioni che non producono auto. Altrove invece, come negli Stati Uniti, anche la recente crisi dell’industria automobilistica è stata un’occasione persa. In Europa e in Italia le grandi opere per il trasporto di lungo raggio continuano a essere la priorità. Che milioni di persone siano costrette a perdere tempo, denaro e salute negli spostamenti quotidiani non è neanche percepito come un problema; neanche fosse un dato di natura.
La via d’uscita c’è, ma è difficile; non verrà da tecnologie salvifiche, ma solo da una presa di coscienza collettiva e da una mobilitazione diffusa che parta dal basso, dai cittadini. Senza mobilitazione ho molti dubbi che l’interesse generale in materia di mobilità sostenibile riesca a prevalere su pochi, ma fortissimi, interessi privati.

Gerardo Marletto è professore associato di economia applicata all’Università di Sassari. Da più di 15 anni si occupa di economia e politica dei trasporti. In passato ha diretto il dipartimento «reti e territorio» del Censis e il centro studi di Federtrasporto/Confindustria. Negli ultimi anni si è dedicato in particolare allo studio del tema trasporti-ambiente. Nel 2008, insieme ad altri, ha fondato l’associazione No auto [www.noauto.org] che attualmente presiede.