Home Piste Ciclabili a Roma IL PROBLEMA DELLE PISTE CICLABILI A ROMA? E' SOLO UNA QUESTIONE CULTURALE! DE CAPOCCIA!
IL PROBLEMA DELLE PISTE CICLABILI A ROMA? E' SOLO UNA QUESTIONE CULTURALE! DE CAPOCCIA! PDF Stampa E-mail

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ROME WASN'T BUILT IN A DAY

 
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La guerra delle piste ciclabili

All’inizio, era il bike sharing, quello a flusso libero, con le bici lasciate in giro un po’ ovunque, e spesso gettate da vandali nel Tevere. Poi sono arrivati i monopattini elettrici, utilizzati impunemente sui marciapiedi, anche perché le piste ciclabili a Roma sono sempre state notoriamente poca roba, e il fastidio è cresciuto. Poi, quando il Comune ha iniziato a realizzare le piste ciclabili transitorie, subito dopo la fine del lockdown del 2020, apriti Cielo.
Ma non si è salvato neanche il GRAB, il Grande Raccordo Anulare delle Bici, che in teoria dovrebbe essere un fiore all’occhiello della Capitale, con il via libera anche del Ministero dei Trasporti, e che però è stato contestato per il passaggio all’interno di Villa Ada.

Eppure, gli ultimi dati del Comune dicono che i circa 17.000 monopattini elettrici in sharing a Roma sono stati utilizzati da circa 176.000 persone in sette mesi, che non sono poche. E che il boom di richieste per il bonus bici ha fatto letteralmente sparire le due ruote dai negozi della Capitale: In un anno, tra 2019 e 2020, le vendite sono aumentate del 200%. Numeri che indicano una crescita evidente dei ciclomobilisti.

Nessuno a Roma – la città con la maggiore densità di auto per chilometro quadrato tra le Capitali Ue – dice apertamente di essere contro le bici o la mobilità alternativa, ma in molti se la pigliano con le ciclabili perché sono “fatte male”.
La questione è diventata anche oggetto di lotta politica. Non solo le opposizioni (Pd compreso) contro il M5s, ma anche dentro il M5s, come dimostra la polemica tra la sindaca Virginia Raggi e il presidente della Commissione Mobilità del Consiglio comunale, Enrico Stefàno, sulla ciclabile di via La Spezia. Un pretesto, forse, perché è vero che Raggi e Stefàno sono ai ferri corti da tempo.

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Non è esattamente una novità, l’insofferenza degli automobilisti. Ormai diversi anni fa (ma oggi sembrano essersene scordati in molti), si era indirizzata contro gli scooteristi, che sempre più numerosi avevano preso a percorrere le strade della Capitale.
Gli scooteristi erano “maleducati”, “pericolosi”, sorpassavano a destra, etc.: soprattutto, riuscivano a passare agevolmente tra le auto, e forse per questo erano invidiati da chi restava bloccato.
E dire che allo scooterista anonimo forse Roma dovrebbe fare un monumento: se tutti quelli che hanno scelto moto o motorino avessero invece continuato a prendere l’auto, il traffico disgraziato della Capitale, città dove i trasporti pubblici sono una chimera, sarebbe stato sicuramente peggiore.

Si potrebbe essere portati a pensare che Roma non sia adatta alle bici e alle piste ciclabili. Ma non è un problema di conformazione del territorio romano: si tratta piuttosto di scelte che vengono da lontano, per privilegiare l’auto negli spostamenti

Ma torniamo alle ciclabili, cioè alle infrastrutture che servono a far circolare in sicurezza un numero crescente di persone che si muovono soprattutto sulla bici.
L’insofferenza era già montata con la pista della Nomentana e soprattutto con quella della Tuscolana. A criticare quest’ultima, a dire il vero, era stato anche il Settimo Biciclettari, un’associazione di ciclisti del del VII Municipio, che avrebbe preferito veder costruito l’asse degli Acquedotti, per far arrivare i ciclomobilisti in centro, invece che far passare le bici su una consolare trafficata e inquinata, e a un costo di realizzazione dell’opera giudicato elevato.
Nessuna delle bike lane ufficiali (compresa quella sul Lungotevere e gli altri pochi tratti realizzati in questi anni: in tutto, parliamo forse di circa 25 chilometri, dato di fine dicembre) toglie però spazio ai parcheggi delle auto. Il vero problema, invece, è la sosta in doppia fila – che per esempio su via Tuscolana continua – perché riduce a una sola corsia la circolazione delle macchine. 

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Poi la protesta è esplosa con le piste transitorie decise dal Campidoglio dopo il lockdown, per un’estensione complessiva di circa 150 km.
Qui è necessario fare una parentesi, con numeri alla mano. Prima della nascita delle transitorie, a Roma si contavano circa 270 km di ciclabili ufficiali, tra corsie su asfalto e nei parchi, sui circa 5500 km di strade della Capitale: pochissimi, insomma, e quasi tutti realizzati prima del 2014.
Considerando i dati forniti dal sito Piste Ciclabili, si arrivava a 600 km: ma comprendendo in quella cifra anche percorsi sostanzialmente “spontanei”, privi di indicazioni, segnalazioni e protezioni adeguate.
Con i previsti 150 km di corsie transitorie in più (ma a fine dicembre 2020 ne erano stati realizzati solo 15), si arriverebbe al massimo a circa 400 km su asfalto. Appena il 7% di tutta la rete carrabile romana, un confronto che non tiene con nessuna capitale europea. 

Le ciclabili transitorie sono indicate da cartelli e delimitate da una striscia di vernice, non da cordoli, è vero. Ma, come fa osservare Bikediablo, pseudonimo di un ciclomobilista che anima il blog Ciclabili a Roma e monitora giornalmente le nuove bike lane, anche le strisce pedonali o i posti sosta, le corsie d’emergenza e spesso anche le preferenziali, per non parlare della divisione tra i due sensi di marcia, sono delimitate così: il che non significa che non vadano rispettate.
In gran parte, poi, si tratta di percorsi che collegano piste permanenti, già esistenti o da realizzare, quindi progettati secondo uno schema preciso.

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Alla contestazione degli automobilisti si è unita quella dei commercianti. A Montesacro per esempio un commerciante si è incatenato per protestare contro la ciclabile su viale Jonio. La paura? Quella solita, di veder ridotto il numero di clienti che arrivano in auto, anche se parcheggiano in doppia fila. Il fenomeno in realtà è abituale. Quando fu istituita la linea 8 del Tram, i commercianti di via Arenula protestarono contro l’opera perché temevano che gli togliesse clienti (e, in quel caso, sicuramente parcheggi). In realtà, diversi studi indicano che le pedonalizzazioni aumentano e non diminuiscono il giro d’affari dei negozi. A Roma sembrerebbe invece che sia impossibile muoversi se non in auto. Ma è vero?
Secondo il Rapporto Mobilità 2019 del Comune, non è così: il 53% degli spostamenti complessivi in auto avvengono all’interno dello stesso Municipio e il 55% sono di breve durata, meno di mezz’ora. La velocità media delle auto è di poco superiore a quella dei mezzi pubblici e negli orari di punta questi ultimi sono più efficienti dei mezzi privati. Quindi, anche se certamente c’è un fenomeno di pendolarismo in auto di lungo tragitto, che riguarda soprattutto il Raccordo Anulare e certe strade in certi orari, non è vero che l’auto sia l’unica soluzione possibile.

Con i previsti 150 km di corsie transitorie in più (ma a fine dicembre 2020 ne erano stati realizzati solo 15), si arriverebbe al massimo a circa 400 km su asfalto. Appena il 7% di tutta la rete carrabile romana, un confronto che non tiene con nessuna capitale europea

  1. Ostia, la protesta contro la ciclabile transitoria sul Lungomare – dopo che da decenni gli ambientalisti e gli amanti delle bici chiedevano interventi: il primo progetto del Wwf è di fine anni Ottanta – ha trovato appiglio in una formalità burocratica. Secondo il Ministero dei Trasporti, infatti, il Municipio locale, a differenza del Comune, non aveva competenza per realizzare una pista transitoria, ma avrebbe dovuto seguire l’iter della convocazione della conferenza dei servizi. A fine febbraio, però, la proroga della ciclabile è stata autorizzata, in considerazione dell’emergenza Covid, e comunque è stata annunciata l’istituzione di una pista “regolare”. 

L’idea non piace ai gestori degli stabilimenti balneari (che sono sempre stati contrari a qualsiasi idea di restrizione del traffico) anche se la ciclabile non elimina i posti auto. Ma non piace neanche a chi percorre abitualmente il lungomare, che è una sorta di “autostrada” ostiense, lungo la quale hanno trovato la morte anche alcuni pedoni, nel corso degli anni. Ovviamente nelle giornate festive di sole, e soprattutto nei weekend d’estate, la circolazione delle auto è più rallentata di quanto non fosse già prima, perché le spiagge di Ostia sono prese d’assalto. In parte si potrebbe alleggerire il traffico segnalando percorsi alternativi, e si può anche progettare meglio la bike lane. Ma in tantissime località balneari le piste ciclabili, italiane ed europee, corrono sul lungomare senza nessuno scandalo.

Di chi è la colpa? Certamente di chi parcheggia in sosta vietata. Ma anche delle autorità che lo consentono da anni

Sui social media hanno circolato foto e video sulle “magagne” delle varie piste transitorie romane. In certi tratti sembrano fatte a zig-zag, in altri si interrompono all’improvviso, in altri ancora salgono sui marciapiedi. Quella del Torrino – una delle prime, se non la prima, a essere realizzata – è stata già in parte rifatta perché i lavori non erano stati sincronizzati con quelli per il rifacimento del manto stradale. Insomma, le strisce sono state cancellate e il Comune ha dovuto rifarle.
Poi, però, ci sono anche casi-limite. Poche settimane fa, su Facebook girava un video per segnalare la pericolosità di una pista transitoria che passa proprio dietro le auto parcheggiate: basta un attimo di distrazione perché si rischi il morto. Solo che quella nel video era un’area di sosta vietata alle auto, anche se da anni gli automobilisti parcheggiano abitualmente senza che nessuno li multi.

 

Di chi è la colpa? Certamente di chi parcheggia in sosta vietata. Ma anche delle autorità che lo consentono da anni. Così come più in generale a Roma la sosta in doppia o tripla fila è di fatto autorizzata, senza controlli continui che la scoraggino (e che almeno all’inizio porterebbero più soldi al Comune).
Anni fa, era stato annunciata, come una soluzione definitiva, l’adozione dello “street control”, cioè un sistema di rilevamento automatico delle targhe delle auto in sosta vietata, con relativa foto. Ogni tanto se ne risente parlare, ma si fatica a vederne i risultati, girando per le strade della Capitale, dove in realtà il traffico è sempre più spostato a sinistra: nel senso che auto e moto invadono sempre più spesso la corsia opposta per evitare le auto in doppia fila.
Altro problema, anche se certamente di minore peso, gli attraversamenti di pedoni fuori dalle strisce. Un’abitudine pericolosa soprattutto per chi attraversa, ma anche per automobilisti e motociclisti. Ma anche in questo caso, le amministrazioni comunali hanno le loro responsabilità: le zebre, cioè i passaggi pedonali, a Roma sono pochi, spesso scoloriti, pochissimo protetti e quasi mai con un semaforo a richiesta (e i pulsanti dei semafori agli incroci romani, semplicemente, non funzionano: provare per credere, i semafori funzionano con il ritmo delle auto, e basta).

Numeri alla mano, la giunta M5s non ha in realtà rivoluzionato la mobilità romana, ha solo realizzato pochi chilometri di bike lane e ha poi tardivamente lanciato un progetto per le ciclabili transitorie, in gran parte ancora non realizzato

Poi c’è la vicenda di via La Spezia e via Taranto, a San Giovanni, dove a febbraio il traffico è impazzito per una serie di lavori, che comprendono la realizzazione di un tratto di 400 metri di ciclabile, che hanno ristretto la sede stradale. Il problema non è tanto la ciclabile, quanto il cantiere e la riorganizzazione dei sensi di marcia.
Lì la ciclabile andava realizzata in realtà prima che la strada fosse restituita da Roma Metropolitane al Comune, all’epoca dell’apertura della Metro C a San Giovanni. Una strada così larga è perfetta per una ciclabile a due sensi, solo che nessuno in Campidoglio ha pensato di fare i lavori prima, e non due anni dopo. Ora il traffico sembra diminuito, ma negli orari di punta – anche prima, senza cantiere o ciclabile, in verità – la circolazione è difficile.

Ma bisogna ricordare anche la guerra tra le associazioni ambientaliste, per via di una pista ciclabile in particolare: il tratto del Grab (che è sostenuto da Legambiente) che dovrebbe passare dentro Villa Ada. Il progetto ha provocato la protesta di Wwf, Italia Nostra e comitati locali, secondo cui l’infrastruttura della ciclabile sarebbe incompatibile con la villa storica, considerata un’oasi naturale, e il passaggio delle bici comunque limiterebbe la circolazione di pedoni, runner, bambini e famiglie col passeggino. Di qui, la controproposta di fare passare la pista su via di Ponte Salario, che però andrebbe chiusa al traffico delle auto.

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Infine, c’è la questione delle isole pedonali, che è stata una delle grandi conquiste di Roma negli anni Novanta. A Monti, parte dei residenti – guidati da una consigliera municipale ecologista – si oppone ai progetti di pedonalizzazione e preferisce lasciare circolare le auto nelle strade del quartiere pur di impedire che diventino preda della cosiddetta “movida”, cioè dei clienti di bar, ristoranti e club che restano in strada o nelle piazzette fino a tardi, facendo rumore.
All’Esquilino, un comitato locale si oppone alla pedonalizzazione di parte di via Bixio, davanti alla scuola Di Donato, perché così si tolgono posti auto, anche se nella parte off limits non ci sono abitazioni e l’ingresso e l’uscita da scuola ora avviene in sicurezza, e i bambini del quartiere hanno uno spazio in più.
Montesacro l’ipotesi di pedonalizzare gran parte di Piazza Sempione ha provocato le proteste di chi teme, anche qui, la movida, e di chi, come il parroco, non vorrebbe che fosse spostata di qualche metro la statua della Madonna (che oggi comunque funge da spartitraffico).

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Si potrebbe essere portati a pensare che Roma non sia adatta alle bici e alle piste ciclabili. Ma non è un problema di conformazione del territorio romano: si tratta piuttosto di scelte che vengono da lontano, per privilegiare l’auto negli spostamenti per favorire l’industria nazionale, la Fiat, a discapito dei mezzi pubblici (all’epoca, peraltro, la bici era un mezzo da poveri). Al punto che nei lavori di preparazione delle Olimpiadi di Roma 1960 l’intervento più importante per la mobilità fu la costruzione di quella che sarebbe poi diventata la Tangenziale Est.

Senza una lotta preventiva a fenomeni storici di inciviltà stradale, come il parcheggio in doppia fila, difficilmente si potrà iniziare a fare qualcosa di serio

Negli ultimi decenni, tranne rari momenti, la situazione non è migliorata. Roma ha continuato a espandersi in modo disordinato, e a parte la Cura del Ferro avviata durante la giunta Rutelli, poco altro si è fatto per cercare di collegare la città. La Metro C ha aperto con un ritardo di anni e non sappiamo quando inizierà il secondo tratto. La Metro D è un sogno lontano nel tempo. Altre linee di tram sono allo stato di progettazione iniziale. Idem per la famosa funivia di Casalotti. Ma è anche vero che, come dimostrano gli studi del Comune, la gran parte della mobilità romana avviene su distanze tutto sommato brevi. E che dunque la bicicletta può essere non solo strumento di svago domenicale, ma anche di spostamento abituale, per le necessità quotidiane.

Numeri alla mano, come abbiamo visto, l’attuale giunta M5s – che terminerà il mandato probabilmente in autunno – non ha in realtà rivoluzionato la mobilità romana, ha solo realizzato pochi chilometri di bike lane e ha poi tardivamente lanciato un progetto per le ciclabili transitorie (in gran parte ancora non realizzato), motivato dall’emergenza Covid. E fino a pochissimi mesi fa il Campidoglio di Virginia Raggi ha ostacolato il Grab, nonostante il suo potenziale anche turistico (probabilmente anche per ostilità interna tra i gruppi di ciclisti romani, divisi come i separatisti ebraici del film “Brian di Nazareth”).
Se nonostante tutto questo le ciclabili vengono avvertite da una parte dei romani come il nemico, è anche perché non si è mai fatto granchè per limitare la circolazione delle auto e incentivare alternative. 

Certo non si può neanche pensare di fare le piste ciclabili solo quando ci saranno più tram e linee di metropolitana: allo stato attuale ci vorrebbero decenni. Deve essere invece una trasformazione che viaggia in contemporanea su più linee. Ma sembra abbastanza chiaro che senza una lotta preventiva a fenomeni storici di inciviltà stradale, proprio come il parcheggio in doppia fila, difficilmente si potrà iniziare a fare qualcosa di serio.