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L'uso dell'automobile nella nostra società divoratrice di tempo. PDF Stampa E-mail

 

L’uso dell’automobile nella nostra società divoratrice di tempo

- A metà del XIX secolo si sviluppò un nuovo tipo di ineguaglianza: i poveri delle città furono progressivamente relegati nei quartieri esterni e nelle periferie; oppure, se abitavano in centro, erano i luoghi di lavoro a spostarsi verso la periferia. Intorno al 1840 a Londra, più della metà degli abitanti dello Strand, rilevava allora Karl Marx, percorreva ogni giorno 3 km a piedi per recarsi alle officine dove vendeva la sua forza lavoro.
Nel 1979, coloro che risiedono a tre chilometri dal luogo di lavoro e possono andarci a piedi sono dei privilegiati. I più sfavoriti, nella regione parigina, impiegano ogni giorno fino a 4 ore per spostarsi. Gli abitanti di Nova Iguacu, città dormitorio brasiliana della periferia di Rio, spendono sei ore al giorno per andare a lavoro e tornare a casa. Gli abitanti delle città industriali percorrono distanze sempre maggiori per andare ogni giorno in fabbrica, in ufficio o per fare gli acquisti nei supermercati. L’apertura di nuove autostrade urbane, se permette un aumento della velocità lungo alcuni tragitti, non produce l’effetto di diminuire la durata media degli spostamenti quotidiani.
- La modernizzazione dell’ineguaglianza. Prima della seconda guerra mondiale, l’uso dell’automobile su strade che tutti contribuivano a pagare era appannaggio esclusivo del ricco. Da una quindicina d’anni l’auto ha smesso progressivamente di essere un manifesto privilegio di classe. Da articolo di lusso che era trent’anni fa la vettura privata sta per diventare la stampella obbligatoria dei migratori pendolari. L’urbanesimo rimodellato dai veicoli mette la gran parte degli abitanti davanti a un fatto compiuto: le loro destinazioni abituali sono fuori dalla portata delle loro gambe. Anche la bicicletta, potenzialmente più rapida dell’autobus, è stata resa pericolosa o altrettanto inefficace per le gambe. Nel linguaggio dei rapporti degli esperti tutto ciò si chiama “cattività”.
- Il possesso di un’automobile nasconde le vecchie ineguaglianze più spesso di quanto non le corregga. Un giovane ancora nella fase di “formazione e lavoro” può spendere per l’auto più del 25% del suo salario, quando lo stesso veicolo non costa che il 15% degli introiti mensili di un capoufficio. L’industrializzazione della mobilità umana è servita a istituire una nuova geografia della disuguaglianza: è la posizione della residenza che, in larga misura, definisce il potere di un uomo sullo spazio urbano.
- Ogni strada su cui alcuni si muovono a più di 25 km/h inizia necessariamente a istituire una discriminazione sociale data dalla velocità. Una superstizione usuale e forse volontariamente mantenuta è che le autostrade, più consentono una circolazione rapida e più “fanno guadagnare tempo” alla società. Come dice Henri Lefèbvre “le autostrade urbane sono delle suture-rotture: legano nel senso longitudinale e separano in quello trasversale”. Più sono rapide e maggiore è l’effetto separante rispetto a quello del legame.
- Fanno più morti i mezzi di trasporto in tempo di pace di quanti né fa una guerra. Nei Paesi industrializzati i trasporti sono la causa di più della metà dei decessi che si verificano intorno ai vent’anni. Più di un quarto delle vittime di incidenti causati dai veicoli è costituito da pedoni o ciclisti. L’assurdo di questa contabilità dissimula un’insondabile crudeltà che noi ci nascondiamo.
- Ci aspettiamo dai trasporti che facciano della velocità e dei suoi segni un elemento dominante del nostro paesaggio urbano oppure vogliamo da loro che ci aiutino a spostarci facilmente al di là del raggio d’azione delle nostre gambe? Se quel che vogliamo dai trasporti è che ci aiutino ad andare rapidamente e facilmente dove vogliamo andare non è la velocità in sé che ci interessa, bensì la “velocità utile nella velocità”, il “valore di spostamento della velocità”. L’ingorgo è innanzi tutto una perdita di valore di spostamento. La pendolarità è divenuta il rito di questa “religione morale della velocità” di cui F.T. Marinetti pretendeva di essere il sacerdote. Quel che egli non prevedeva è che, in una città ridisegnata dalla velocità, essa cede inesorabilmente il posto alla simulazione forzata della velocità.
- Per E. Bloch la parola “utopia” (etimologicamente: che non è in alcun luogo) non significa irrealtà o assurdità, ma designa il “non ancora” la cui coscienza nel presente è “un’anticipazione concreta, un vero vulcano di produttività che sparge le sue lave”. L’utopia è il luogo delle relazioni dell’immaginario con il reale. In contrasto con l’utopia popolare, bisogna ormai chiamare distopie i sogni malsani di alcuni gruppi politici e professionali che monopolizzano gli strumenti sociali al fine di imporre a tutti il prodotto dell’orgoglio dei ricchi. L’essenza della cultura urbana è costituita dalla capacità di creare valori vernacolari, non mercantili, come la diversità, la pace, la sicurezza e l’accesso non violento degli uomini gli uni rispetto agli altri. La distopia tecnocratica è nemica di questa cultura popolare. Rimodellata dalla logica della circolazione e dai trasporti la città smette di funzionare da supporto alla cultura urbana. Lo spazio pubblico viene privatizzato quando la strada è fisicamente invasa da prolungamenti mobili della sfera domestica, sia che si spostino sulla carreggiata, sia che vengano abbandonati sui marciapiedi. La strada viene accecata, trasformata in semplice letto di circolazione veicolare. Le periferie, di giorno, sono popolate solo da donne e bambini e attraversate la sera, dagli stessi pendolari stremati.
- I pedoni e i ciclisti vengono posti al servizio dei Trasporti e ne diventano utenti. Affinché diventino clienti della Renault, basta rendere pericoloso il percorso a piedi, per esempio sopprimendo i marciapiedi e impedendo un tracciato pedonale continuo, e screditare la bicicletta obbligando i ciclisti a vestirsi come dei netturbini. Per la maggior parte di coloro che vi abitano, che si sottraggono agli sguardi dietro ai vetri, la strada si trasforma in uno spazio-tempo morto che essi pensano soltanto ad abbandonare il più presto possibile.
- La pendolarità è la pena umana che, come il corpo nel supplizio della ruota, tiene insieme quel che forze disgiungenti vogliono smantellare. Il capitalismo si serve di questo sforzo per segregare maggiormente.
- In un articolo intitolato “Odio dell’automobile” Ruben Salazar Mallen scrive, sull’Excelsior di Città del Messico: “L’automobile ha sconvolto la vita della città. L’ha devastata in modo ancora più terribile di come avrebbe fatto un bombardamento. In suo nome, e dimenticando che i pedoni sono anch’essi dei cittadini, Città del Messico è stata smantellata, fatta a pezzi da autostrade che in fin dei conti non serviranno a niente, se non a opporre nuovi ostacoli ai pedoni. Se domani il culto di Santa Auto scomparisse, se l’auto venisse tolta anche parzialmente dalla circolazione, la disoccupazione si abbatterebbe sulle masse”. I padroni della lobby dell’auto e i politici di professione condividono la schizofrenia del giornalista messicano. I neoesperti diranno che l’automobile è controproduttiva ma produce “posti di lavoro”. Il tema più importante è la mobilità degli uomini e non la realizzazione industriale di un paese della Cuccagna per robot.
- Esistono delle soglie dimensionali al di là delle quali il numero e la potenza dei veicoli motorizzati costituiscono inevitabilmente un ostacolo per i pedoni e per i ciclisti e creano per tutti un numero maggiore di nuove distanze di quante non né superino. Queste soglie dimensionali devono venir tradotte in limiti politici. All’interno di questi limiti è possibile il felice accoppiamento di muscoli, meccanica e motori. La definizione concreta dei limiti non è un’impresa scientifica e tecnica della quale potrebbe venir incaricato un Club di esperti. Al contrario è un atto politico aperto e locale.
 

 

COMITATO NO CORRIDOIO ROMA - LATINAu proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Comitato ha espresso il parere con prescrizioni ai sensi dell’art. 2, comma 202, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), sullo schema di convenzione  sottoscritta nel 2009 fra ANAS S.p.A. e Società Autostrada Tirrenica (SAT) S.p.A.;
  • In merito al Corridoio Tirrenico Settentrionale (Cecina - Civitavecchia nella seduta del 13 MAGGIO 2010 del  CIPE, s
  • In seguito alle dichiarazioni della Polverini e dell'assessore Malcotti abbiamo chiesto un incontro urgente, ma a tutt'oggi non abbiamo avuto alcun riscontro;
  • Insieme a tutti Comitati del Lazio che hanno vertenze aperte contro le nocività e le devastazioni(inceneritore di Albano, turbogas Aprilia, carbone Civitavecchia e Tarquinia, valle del Sacco e Guidonia, nuovi porti e raddoppio aeroporto di Fiumicino) stiamo organizzando una grande manifestazione alla Regione Lazio per il mese di Giugno.
Pillole d'informazione:
  • Dopo l'inquinamento da CO2 presente e futuro l'agricoltura del pontino si trova a combattere con il batterio del kiwi PSA che continua a provocare danni ingenti all’economia. Numerose le imprese agricole che ormai versano in situazione disperata. Già dalle sole cifre è possibile comprendere la gravità della situazione: circa 100 milioni di danno, 400 ettari di kiwi giallo già abbattuto, oltre il 40% delle piantagioni di kiwi verde, circa 7000 ha, colpito dal batterio che non conosce sosta nel suo continuo lavoro di distruzione. Con l'autostrada si affonderebbe l'azione inquinante e tutti quei terreni che hanno produzioni biologiche (80%) in un raggio di 200 mt verranno colpiti inesorabilmente e saranno costretti a chiudere l'attività aziendale.
  • In allegato una scheda "sull’uso dell’automobile nella nostra società divoratrice di tempo".

    Per concludere e rilassarci andate sull'indirizzo di seguito riportato e godiamoci "l'inno alla bici".

 

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