dall'Italia alla Mongolia in camper. Viaggio Meraviglioso 24.500 km 2 mesi e 1/2. Stampa

 

Dall’Italia alla Mongolia in van, attraverso la Russia verso il paese di Gengis Khan

Written by on 27 novembre 2018

Perché in Mongolia?

Un viaggio sognato e finalmente realizzato. Quando abbiamo deciso di andare nel paese di Gengis Khan abbiamo voluto farlo con il camper per essere liberi di fermarci e di visitare tutto quello che volevamo. Quando siamo partiti ai primi di giugno di quest’anno ci sembrava impossibile raggiungere la nostra meta: ci aspettavano 12mila chilometri all’andata e altri 12mila al ritorno. Ma ce l’abbiamo fatta e il 30 agosto abbiamo rimesso piede in Italia.

L’itinerario di avvicinamento si è sviluppato in 25 giorni di viaggio fino al confine russo. Da qui siamo entrati in Mongolia dove siamo rimasti circa un mese. Il percorso è continuato fino al deserto del Gobi e il confine con la Cina per poi risalire a nord e tornare verso la Russia. E questo è il resoconto del viaggio.

La partenza e le tappe di avvicinamento

Tutto ha avuto inizio il 6 giugno quando abbiamo messo in moto e al volante del nostro camper su Renault Master 150 cavalli abbiamo lasciato Trieste e varcato il confine con la Slovenia su autostrada a doppia corsia abbiamo proseguito verso l’Ungheria. I vantaggi dell’Unione Europea si sono fatti sentire, sia per l’ingresso in Slovenia che in Ungheria non abbiato dovuto far fronte a nessuna formalità di frontiera, ad eccezione dell’acquisto delle vignette autostradali di entrambi i paesi. Entrati in Ungheria sempre in autostrada costeggiando velocemente il lago Balaton e superando la capitale, Budapest, abbiamo proseguito fino a Nyiregihaza dove termina l’autostrada M3.

Da qui la E573 ci ha condotto a Zahony e alla barriera con l’Ucraina dove abbiamo superato una lunga fila di TIR in attesa per metterci in coda tra le auto. Arrivato il nostro turno una rapida occhiata ai passaporti ci ha dato il via libera all’entrata nel paese che da alcuni anni ha abolito il visto di ingresso ai cittadini italiani per una permanenza non superiore ai 90 giorni, come il nostro caso. Necessario però essere in possesso di un passaporto valido con la scadenza della validità di almeno 3 mesi oltre la data di viaggio.

Un paese fuori dal tempo, l’Ucraina

Entrati nel paese, ahimè, è peggiorata notevolmente la condizione della strada e ci siamo incamminati su singola corsia con tratti a volte dissestati. Ma la meccanica a 6 marce ha risposto senza problemi ad ogni tipo di sollecitazione. Campi coltivati e villaggi rurali si sono susseguiti lungo il tragitto in questo paese, il più esteso d’Europa dopo la Russia, che si è lasciato alle spalle ecenni di giogo sovietico e procede faticosamente sulla strada della modernizzazione. Dai finestrini abbiamo ammirato un paesaggio bucolico, istantanee dimenticate alle nostre latitudini, carretti di contadini che si recavano nei campi, distese di grano da mietere che hanno a ragione dato al paese il soprannome di granaio d’Europa.

Superata Leopoli, la romantica città ucraina dal centro storico acciottolato, abbiamo continuato verso Kyev, l’antica capitale della Rus. E’ qui, in questa nobile città che è nata la Russia.

La città, disseminata di cupole dorate, è stata la prima tappa importante del viaggio. Ci siamo fermati per vedere la statua della grande madre Ucraina che si specchia sulle acque del Dnper e il Pecerska Lavra, un complesso di chiese e catacombe che è la più importante meta di pellegrinaggio ucraina.

In frontiera verso la Russia, dove il gasolio costa 50 centesimi

Ci siamo quindi avviati verso la frontiera e dopo il rapido controllo da parte ucraina abbiamo affrontato la barriera con la Russia, con in mano il visto fatto in precedenza in Italia. Avevamo un visto di tre mesi con doppio ingresso, dato che al ritorno saremmo di nuovo transitati nuovamente per la Russia. L’entrata nel paese ha richiesto più tempo, poiché c’erano da compilare i moduli di ingresso per noi e per l’importazione temporanea del mezzo. Alcuni per fortuna da poco sono stati tradotti anche in inglese ma altri sono ancora in cirillico. Il personale è stato gentile e con i cani antidroga ha effettuato i controlli di rito al mezzo .Tutto è filato liscio e siamo entrati in Russia.

Varcato il confine subito è migliorata la qualità delle strade, ottime sotto tutti i punti di vista, e con nostro piacere abbiamo scoperto che il gasolio costava soltanto circa 50 centesimi e nei distributori più moderni, ormai diffusi ovunque, potevamo pagare con carta di credito.

L’unico inconveniente è che devi pagare in anticipo specificando quanti litri vuoi e questo ti costringe a calcoli al ribasso per non rischiare di chiedere più del necessario con eventuali travasi su una tanica di scorta.

Nel Paese degli Zar

Ed eccoci quindi a percorrere questo immenso paese che è una distesa infinita di campi di grano, girasoli, luppolo, patate, colza, ecc. Abbiamo viaggiato con una temperatura costante di 15 gradi su strade ottime, spesso a doppia corsia, accompagnati da centinaia e centinaia di TIR.

Il trasporto su gomma in Russia regna sovrano e lungo il viaggio è stata una continua fila di questi immensi camion che percorrono il paese da est ad ovest e viceversa lungo la strada che costeggia il percorso della Transiberiana, la mitica ferrovia che parte da Mosca e attraversa Europa e Asia fino a terminare a Vladivostok. Era nata per collegare le nascenti città industriali della Siberia e le regioni orientali dell’impero alla Russia Europea. Un suo braccio secondario si stacca dal principale a Irkutsk nei pressi del Lago Baikal e prosegue fino a Pechino.

A casa di Lenin e nella capitale sovietica dell’auto

Nonostante i tanti chilometri da fare non abbiamo voluto rinunciare alla visita dei luoghi più interessanti lungo il percorso e così la nostra prima tappa russa è stata Uljanovsk, città natale di Lenin. Ovviamente il centro storico è dedicato al padre della rivoluzione. Abbiamo visitato quindi il museo che ripercorre la sua vita e un paio delle case dove ha abitato.

La casa di Lenin

Dopo ci siamo spostati a Togliattigrad per vedere l’immenso stabilimento automobilistico nato nel dopo lo storico accordo del 1966 tra l’URSS e la Fiat per la produzione di 600mila auto l’anno in Russia.

La città all’epoca era un anonimo paesino sul Volga in ottima posizione per il trasporto delle merci via fiume e divenne la capitale sovietica dell’auto con il nome del leader italiano del partito comunista morto in Crimea nel 1964. Il modello di partenza delle vetture in produzione era la storica 124 modificata per rispondere ai rigidi climi russi. Fu chiamata Zhiguli, nome trasformato in seguito in Kopeka .

La vita su strada lungo la Transiberiana

Con ancora parecchi chilometri da percorrere per giungere al confine mongolo, superato il Volga ci siamo avviati verso Samara, Ufa e Celjabinsk, tutte città che sono grossi centri industriali. La strada sempre perfetta, alternando tratti di doppia corsia a tratti singoli ma sempre ben tenuti e sempre in compagnia degli onnipresenti TIR. Lungo il tragitto abbiamo incontrato, e utilizzato, numerose aree di servizio attrezzate con parcheggio custodito, ristorante, servizio toilette, doccia e a volte perfino parrucchiere e lavanderia, a conferma di quanta parte della vita degli autisti di questi immensi camion si svolga su strada.

Era la metà di giugno e man mano che ci siamo inoltrati verso la Siberia e varcato gli Urali, spartiacque tra Europa e Asia, ci siamo resi conto che qui la primavera era appena iniziata e sui monti c’era ancora la neve.

Confine Asia-Europa

Nugoli di farfalle volteggiavano nell’aria e nei campi sconfinati era un tripudio di fiori. Ai bordi della strada numerosi venditori ambulanti di miele, fascine di betulla per la “banja”, il corrispettivo russo della sauna finlandese, patate, cestini in corteccia di betulla e alambicchi per la produzione artigianale di vodka. Ce n’era davvero per tutti i gusti.

Ekaterinburg, dove venne ucciso l’ultimo zar Nicola II

Con la strada che si inerpicava sulla catena degli Urali abbiamo continuato il percorso di avvicinamento alla Mongolia. Altra tappa importante è stata Ekaterinburg, la prima città asiatica dopo il confine tra Europa e Asia. E’ passata alla storia perché qui vennero uccisi l’ultimo zar Nicola II insieme a tutta la famiglia.

Gli ultimi discendenti dei Romanov, dinastia caduta sotto la scure della Rivoluzione d’Ottobre, dopo l’arresto e la detenzione vennero uccisi in una notte del luglio 1918 in questa città, in una casa che non esiste più. Al suo posto ora c’è una chiesa che abbiamo visitato insieme all’interessantissimo museo di geologia degli Urali dove sono esposti oltre 500 minerali e rocce locali insieme ad una collezione di meteoriti.

Domani la seconda parte di questo lungo viaggio: Oltre la taiga verso il confine mongolo.

Prosegui con la seconda puntata.

In The World

Dall’Italia alla Mongolia in Van: Oltre la taiga verso il confine mongolo

Written by on 28 novembre 2018
Mappa del tragitto da Tyumen, Russia, a Dalanzadgdad, Mongolia.

Con il Master Renault (seconda parte)

Superata Ekaterinburg, dove venne uccisolo zar Nicola II e la famiglia Romanof, abbiamo proseguito costeggiando la Transiberiana con alcuni tratti di strada interessati da cantieri di ammodernamento che ci costringevano a frequenti cambi di corsia, e passaggi a livello che comportavano soste inaspettate e allungamento dei tempi di percorrenza. Le tappe notturne sono state nelle onnipresenti aree di servizio con parcheggio custodito. Tratti di taiga, l’immensa foresta siberiana di betulle, si alternavano a tundra e campi coltivati.

Lungo il percorso dal finestrino abbiamo potuto ammirare piccoli villaggi composti di case di legno dalle finestre scolpite, alternati a importanti città. Abbiamo fatto tappa a Tyumen, Tobolsk e Tomsk per vedere le chiese ortodosse di Tyumen, il Cremlino di Tobolsk, che dall’alto della collina domina il centro storico, e il museo della repressione politica di Tomsk, un luogo dove approfondire la storia dei gulag.
Ci siamo quindi diretti a Novosibirsk, la terza più grande città russa dopo Mosca e San Pietroburgo famosa per il teatro dell’opera e del balletto, il più grande del mondo per le sue dimensioni. Abbiamo proseguito verso Irkutsk e costeggiando il Lago Baikal siamo arrivati ad Ulan Ude.

Teatro di Novosibirsk
Statua raffigurante la testa di Lenin a Ulan Ude, Russia

In questa città, nota per la più grande testa di Lenin esistente al mondo nei giardini del centro cittadino, si respira già aria di Mongolia: la popolazione ha i tratti mongoli e non mancano i monasteri buddisti che visitiamo, in particolare quello sopra la collina che sovrastra la città. Con una sorpresa inaspettata: nel grande piazzale del monastero erano parcheggiati una ventina di camper cinesi! Chiacchierando con loro abbiamo scoperto che il turismo in camper in Cina si sta sviluppando e sono sorte parecchie associazioni che organizzano viaggi in camper per i soci. Loro avevano in progetto di arrivare fino a Mosca.
Ma ormai la frontiera è vicina.

Mongolia arriviamo!

La mattina dopo ci siamo diretti verso la frontiera. Sulla strada abbiamo incontrato un grande cantiere di lavori in corso che al nostro ritorno un mese dopo era terminato e ci ha permesso di viaggiare su un asfalto nuovo di zecca. Una vera pacchia per il nostro Renault Master! Siamo così arrivati in frontiera e dopo aver espletato tutte le formalità e salutato i poliziotti siamo usciti dalla Russia e fatti pochi metri ci siamo presentati ai poliziotti mongoli con in mano il visto già richiesto all’ambasciata mongola in Italia.


Le procedure sono state rapidissime e in breve ci hanno dato il benvenuto nel paese. Appena varcato il confine abbiamo provveduto a stipulare, in uno dei numerosi botteghini presenti in frontiera, una polizza assicurativa per il mezzo, dato che la Mongolia non era coperta dalla nostra assicurazione.

La situazione viaria in Mongolia, strade e sterrati, cavalli, cammelli e aquile

E dopo le ottime strade russe attraversato il confine ed entrati in Mongolia siamo tornati a percorrere strade a corsia singola, a volte un po’ dissestate e a volte abbastanza sconnesse. Nel paese il sistema viario è in via di ammodernamento ma a parte le direttrici principali come quella nord-sud che dalla Siberia conduce fino al confine cinese, sono ancora molte le piste sterrate da percorrere con cautela e in diversi casi solo in fuoristrada. Con un po’ di attenzione abbiamo proseguito il nostro percorso verso la capitale e abbiamo potuto apprezzare e ammirare la bellezza selvaggia degli spazi sconfinati dove l’aquila è la padrona indiscussa. La Mongolia, che nell’immaginario collettivo è il paese dei grandi spazi, tra la Siberia e la Cina, è chiamata anche Alta Asia, perché si sviluppa sopra i 1500 metri con altipiani stepposi, grandi praterie e montagne.

Regno delle aquile e di una natura incontaminata, è un territorio dove vivono allo stato brado cavalli, yak, cammelli e altri piccoli animali. E’ proprio dai cavalli Takhi Prewalsky, il cavallo selvatico mongolo, che sono discese tutte le razze equine. In Mongolia la vita nomade è ancora una caratteristica praticata dalla maggior parte della popolazione e l’unica vera città, con circa un milione di abitanti, è la capitale, Ulan Baatar.

La capitale Ulaan Baatar

Le tradizioni di un popolo fiero

Il nostro itinerario prevedeva di arrivare nella capitale, che avremmo visitato al ritorno, e continuare verso sud, per raggiungere il deserto del Gobi a Dalanzadgdad. Abbiamo percorso così un paesaggio che, abbandonate le distese di praterie a perdita d’occhio e le colline dalle varie sfumature di verde che si univano a cieli limpidissimi, si faceva sempre più arido. Lungo il tragitto mandrie di cammelli e di cavalli allo stato brado e ai bordi delle strade numerosi “ovoo”, il tumulo sacro sciamanico. Lo sciamanesimo è un elemento fondamentale della spiritualità locale e chi passa accanto ad un ovoo si ferma, aggiunge una pietra sopra quelle già ammucchiate che sostengono dei rami da cui pendono gli scialli colorati, fa tre giri attorno all’ovoo in segno di buon augurio e lascia un’offerta ai piedi del tumulo prima di ripartire.

Ovolo, il tumulo sacro sciamanino

Dalanzadgdad, una distesa di gher (il termine con cui i mongoli indicano la “yurta”, la tenda mobile che è la loro casa e che smontano e rimontano durante i trasferimenti al seguito dei loro greggi e mandrie) e 25mila abitanti, l’ultima cittadina mongola raggiungibile con strada asfaltata e in aereo.

Il deserto del Gobi la divide dalla Cina. Siamo stati molto fortunati perché nei giorni del nostro arrivo a Dalanzadgdad si svolgeva il Naadam, la più importante festa tradizionale mongola, espressione della cultura nomade. Si tratta di danze tradizionali, gare di lotta e di arco e corse di cavalli. Le donne possono partecipare sia alle corse che alle gare di tiro con l’arco e noi abbiamo assistito ad una gara dove a vincere è stata proprio una donna!

Nel cuore del Gobi

Da Dalanzadgdad al mattino a bordo di un fuoristrada a noleggio, il mitico UAZ (Ulyanovsky Avtomobilny Zavod) russo, siamo partiti per il deserto del Gobi, depressione di circa 2mila km da est a ovest e di circa mille km da nord a sud. E’ riserva della biosfera Unesco perché ospita le ultime rarissime specie endemiche della Mongolia ed è ricchissimo di giacimenti fossili. Con il fuoristrada abbiamo percorso circa 450 km di sterrato in un paesaggio unico al mondo.

La prima tappa è stato il Parco Nazionale di Gurvan Saikhan e Yolin Am, una valle ad un’altezza di 200 mt sul livello del mare chiamata “Valle delle aquile”. La sua peculiarità è il fiume che scorre al suo interno e che rimane in parte ghiacciato anche durante la prima parte dell’estate in contrasto con l’arido deserto. Aguzzando gli occhi si riescono a vedere le aquile che volteggiano, gli stambecchi e gli enormi gipeti.


Il compagno di viaggio

Camper in vetroresina su meccanica Renault master 150 cavalli, con cellula allestita da Aiesistem, una ditta semi-artigianale veronese. Non abbiamo avuto nessun inconveniente tecnico e la meccanica ha risposto bene ai diversi tipi di terreno, ad esclusione degli sterrati estremi per i quali il nostro mezzo non è adatto ed è necessario l’uso di un 4×4. Sul lungo rettilineo il motore ha risposto ottimamente, su tratti misti e con buche causa cantieri di ammodernamento il mezzo ha resistito alle sollecitazioni. Nelle curve tutto bene e il 150 cavalli tira che è un piacere.

Dati nuovo RENAULT MASTER

  1.                                        2464 cm3
    Numero e disposizione cilindri       4 in linea
    Numero valvole per cilindro            4
    Dispositivo di sovralimentazione    turbocompressore
    Potenza                                             150 CV
    Coppia Massima                               300,0 Nm
    Normativa Euro                                 Euro 4
    Serbatoio                                           100 litri
    Trazione                                             anteriore
    Cambio                                               meccanico
    Numero di marce                               6
    Passo                                                  357 cm
    Velocità max (Km/h)                          144 Km/h
    Consumo Misto (litri/100 km)           8,8

Domani la terza parte del nostro viaggio: La scoperta dei dinosauri e la mitica capitale di Gengis Khan. 

Continua la lettura con la terza puntata.

 

In The World

Dall’Italia alla Mongolia in Van, con il Master Renault: La scoperta dei dinosauri e la mitica capitale di Gengis Khan

Written by on 29 novembre 2018

Dopo la tappa notturna passata in un campo gher turistico ci siamo spostati a Khongorin Els, per vedere le dune più alte e spettacolari del deserto del Gobi. Chiamate anche le dune che cantano, per il suono che fa la sabbia quando viene spostata dal vento, sono delle dune alte anche 300 metri che si estendono lungo 100 km al di sopra del deserto che, a differenza del nostro concetto tradizionale di mare di sabbia, è costituito più che altro di terra brulla e steppa disseminata da cespugli di erba secca.

Da Khongorin Els siamo andati a Bayanzag, che tradotto significa “Rocce infuocate”, un’area di scogliere fiammeggianti, dirupi di terra mista a sabbia che al tramonto assumono un colore rossastro, passati alla storia per essere il luogo dove il paleontologo Roy Chapman Andrews con la sua spedizione nel 1924 ha rinvenuto resti e uova di dinosauri, una delle più grandi scoperte paleontologiche del secolo scorso.

Rientrati a Dalanzadgdad e riconsegnato il mezzo abbiamo ripreso il nostro camper per il giro di boa, diretti a nord. Ancora un po’ di strada su asfalto ed eccoci a Karakhorin, l’antica Karakorum, capitale dell’Impero Mongolo di Gengis Khan.

Costruita nel 1200 all’incrocio delle strade della Via della Seta fu distrutta circa 200 anni dopo dall’orda cinese e oggi di quella mitica capitale rimangono solo poche rovine.

Ma merita arrivare fin qui per vedere il più antico monastero della Mongolia, il monastero di Erdene Zuu. Distrutto e ricostruito più volte, con un muro di cinta che ingloba 108 stupa bianchi, conserva all’interno diversi edifici religiosi alcuni dei quali sono nuovamente dedicati alla preghiera dato che dopo la ritrovata indipendenza una decina di monaci sono tornati ad abitare il complesso.

E qui abbiamo anche incontrato un gruppo di tedeschi che viaggiavano su camper allestiti artigianalmente su meccaniche mercedes e mezzi militari riconvertiti e avevano in programma di arrivare fino in Thailandia.

Un paese antico proiettato verso la modernità

Riprendendo la guida e arrivati ad Ulan Baatar, parcheggiato in un’area custodita il camper, abbiamo dedicato qualche giorno alla scoperta della capitale, unica grande metropoli del paese. La città è un agglomerato di tende (180mila) all’ombra di moderni grattacieli. La Mongolia è un paese di nomadi, e chi si trasferisce dalle campagne alle città non rinuncia facilmente alla sua tenda e alle sue abitudini.

La temperatura costante sui diciotto gradi di giorno, che scendevano a 10 di notte, ci ha permesso di non patire il caldo e di visitare con tranquillità la grande piazza Sukhbaatar con al centro la statua del condottiero che proclamò l’indipendenza della Mongolia e l’edificio che ospita la statua di Gengis Khan in poltrona.

Al monastero di Gandan abbiamo ammirato la grande statua del Buddha alta 26 metri e coperta di lamine d’oro. Abbiamo anche assistito alle preghiere dei monaci che a intervalli suonano un grande corno. Poi ci siamo spostati al tempio Chojn Lama, un raro luogo di meditazione sepolto tra una selva di nuovi grattacieli e visitato il museo nazionale di storia dove sono esposti non solo reperti storici e archeologici ma anche i costumi tradizionali delle diverse tribù che compongono il popolo mongolo. Bellissimo e da non mancare il Palazzo-Museo Bogd Khaan con una ricca collezione di statue di buddha.

Con un secondo giro in fuoristrada abbiamo raggiunto il monastero di Amarbayasgalant, patrimonio Unesco per il suo eccezionale valore universale. Posizionato in un ambiente bucolico, a 380 km di asfalto e pista da Ulan Baatar, è considerato il monastero più bello e meglio conservato di tutto il paese.

Riconsegnato il fuoristrada ci siamo diretti infine a nord verso Darkan e quindi la frontiera. Con rammarico abbiamo lasciato questo fantastico paese e ripreso la via del ritorno.