Ciclovia lo Spettacolo dei 7 Acquedotti Stampa

 

ROMA - Ciclovia dell'ordinario e straordinario: lo spettacolo dei 7ACQUEDOTTI
venerdì 1 giugno 2007, 12.51.28
PARCO DEGLI ACQUEDOTTI dal Quadraro a Capannelle
Da “Archi di Storia” Comitato per il Parco della Caffarella, Mario Leigheb 1999

Gli acquedotti romani
Tra Capannelle e via Tuscolana passano sette acquedotti antichi: l'acquedotto di Claudio su cui corrono i resti dell'acquedotto Anio Novus, alcune arcate dell'acquedotto Marcio, a sua volta sormontato dai due acquedotti dell'Aqua Tepula e dell'Aqua Iulia, e l'acquedotto Anio Vetus che passa sottoterra. Infine, all'altezza di porta Furba si staccava dall'acquedotto Marcio la diramazione dell'acquedotto Antonianiano, che alimentava le Terme di Caracalla.
Degli undici acquedotti che rifornivano Roma in età imperiale, questi 7 erano senz'altro i più importanti, convogliando il 74% dei 13 metri cubi d'acqua che ogni secondo entravano in città.
L'Anio Novus, la Marcia, la Claudia e l'Anio Vetus captavano l'acqua delle migliori sorgenti dell'alta valle dell'Aniene, che seguivano fino a Tivoli; di lì, dopo aver fatto un'ampia curva seguendo i monti Prenestini fino ai Colli Albani, sbucavano dalle parti di Capannelle per puntare dritti su porta Maggiore.
L'acqua doveva arrivare a Roma ad una quota piuttosto elevata, per poter servire tutte le zone della città; unica eccezione era l'Anio Vetus, il più antico, che fu fatto correre tutto sottoterra.
Nel 1585 Sisto V utilizzò le arcate dell'acquedotto Marcio per costruire un ottavo acquedotto: l'acquedotto Felice, che riportò l'acqua a Roma dopo quasi mille anni ed è tuttora funzionante.
Non è casuale che ben otto acquedotti si trovino a passare più o meno nello stesso luogo; la direttrice Capannelle - Porta Maggiore si trova infatti su una lingua di terra rialzata, che segna lo spartiacque fra i bacini del basso Tevere e dell'Aniene, per cui fu naturale utilizzarla per portare l'acqua a Roma alla quota più alta possibile.
Tenendo conto che, con l'acqua dei due acquedotti Claudio e Anio Novus, Roma era servita da 11 metri cubi d'acqua al secondo con una popolazione di un milione di abitanti, i Romani disponevano allora di più acqua pro-capite di quanta ne disponiamo noi oggi, che con tutto l'acquedotto del Peschiera riceviamo 21 metri cubi d'acqua al secondo da dividere fra tre milioni di persone. I Romani erano orgogliosissimi dei loro acquedotti, ritenuti, assieme alle fogne e alle strade, indispensabili alla vita civile; tant'è che Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), parlando dell'Egitto, ricordava la "inutile e stolta ostentazione delle piramidi, mentre i tre principi per l'ingegneria civile enumerati da Vitruvio erano firmitas, utilitas, venustas, cioè solidità, utilità e estetica. Gli stessi storici greci dell'età imperiale, come Strabone, riconoscevano nelle grandi opere pubbliche un aspetto caratteristico della civiltà romana che la loro civiltà ellenistica aveva trascurato.
La costruzione di un acquedotto richiedeva una eccezionale competenza di ingegneria idraulica, essendo indispensabile evitare la costruzione di sifoni, la cui realizzazione comportava grossi problemi tecnici: i Romani infatti non lavoravano l'acciaio con facilità, il bronzo costava troppo, il piombo non era adatto a lunghe tubature di grande diametro e veniva usato solo per le tubature urbane.
Il tufo e il laterizio erano invece materiali molto più pratici ed economici, e ciò favorì l'introduzione della tecnica delle grandi arcate.
Il canale doveva avere una pendenza leggera ma continua, dal momento che un flusso veloce avrebbe provocato l'usura delle pareti, mentre un flusso lento avrebbe provocato il ristagno dell'acqua. Uno degli acquedotti più perfezionati fu l'acquedotto Vergine, che in 21 km di percorso copriva un dislivello di appena 3,5 metri.
L'acquedotto Marcio
L'acquedotto Marcio era uno tra i più lunghi acquedotti romani (91,4 km, quindi più lungo anche del moderno acquedotto del Peschiera che ne misura 86); fu costruito dal pretore Quinto Marcio Rex nel 144 a.C., all'epoca della distruzione di Cartagine, quando Roma diveniva la capitale del Mediterraneo. I lavori, che videro per la prima volta utilizzata la tecnica delle grandi arcate in opera quadrata, durarono in tutto quattro anni.
Le sorgenti dell'Aqua Marcia, che si trovano nell'alta valle dell'Aniene, vicino Arsoli, sono state sempre considerate le più buone di Roma, al punto di essere usate come termine di paragone per tutti gli altri acquedotti.
Dalle sorgenti l'acqua si raccoglieva in un laghetto artificiale da dove poi partiva il canale vero e proprio; l'acqua era così fredda che quando Nerone, in un caldo giorno d'estate, volle attraversare il laghetto a nuoto, si prese un accidente .
A Capannelle delle grandi piscine limarie consentivano all'acqua di depositare le impurità in sospensione; da lì, dopo altri 9 km di percorso interamente sopraelevato, l'acqua arrivava al centro di Roma alla quota di 56 m s.l.m. La portata dell'acquedotto era di 190.000 metri cubi d'acqua al giorno.
Le competenze ingegneristiche acquisite con la costruzione dell'acquedotto permisero, due anni più tardi (142 a.C.), la costruzione del primo ponte in pietra sul Tevere, il ponte Emilio (che noi chiamiamo "ponte Rotto").
E' abbastanza ben conservato, seppur pieno di detriti, lo "specus", cioè il canale dell'acqua; costruito sempre in opera quadrata, ha le fiancate costituite da tre linee di blocchi di tufo di Grotta Oscura sovrapposti, mentre al di sotto e al di sopra il fondo e la copertura sono formati da lastroni di peperino messi di piatto. Il condotto è rivestito all'interno di cocciopisto, un tipo di intonaco impermeabile ottenuto impastando la calce con frammenti di mattoni.
Il tufo, materiale vulcanico abbondantissimo sia dentro Roma che nei dintorni, cominciò ad essere usato sin dal VII sec. a.C., forse in seguito all'incontro tra i primi Romani e la più evoluta civiltà etrusca; esso possiede infatti ottime qualità edilizie in quanto è tenero durante l'estrazione, mentre all'aria indurisce conferendo un buon isolamento degli ambienti.
Nel 144 a.C., proprio in occasione della costruzione dell'acquedotto Marcio, venne introdotto in architettura il tufo rosso dell'Aniene, che a poco a poco sostituì il tufo di Grotta Oscura; il successo di questo materiale si spiega non tanto per le sue qualità (abbastanza modeste), quanto per la facilità di trasporto per mezzo dello stesso fiume Aniene.

Al di sopra del canale dell'acqua Marcia, in qualche punto si riconosce anche il condotto, in opera reticolata, dell'acqua Tepula, sul quale si intravedono i resti di quello dell'acqua Iulia.
Sia l'Aqua TEPULA (= tiepida) che l'Aqua Iulia avevano le sorgenti dalle parti di Grottaferrata; l'acqua Tepula proveniva dalla sorgente Preziosa, ed era così chiamata perché aveva una temperatura di 16°-17° C; l'acquedotto della Tepula fu costruito 20 anni dopo quello dell'Aqua Marcia dai censori Gneo Servilio Cepione e Lucio Cassio Longino; per risparmiare tempo e denaro, il canale venne posto immediatamente sopra al canale dell'Aqua Marcia, e la portata era di 16.000 metri cubi d'acqua al giorno.
L'Aqua IULIA fu costruita invece da Marco Agrippa nel 33 a.C. raccogliendo le acque dalla fonte presso Squarciarelli, e si chiamò così in onore dell'imperatore Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto. Per non dover costruire una nuova serie di arcate, il canale fu posto sopra quello dell'Aqua Tepula; l'Aqua Iulia portava a Roma circa 49.000 metri cubi d'acqua al giorno.
Le arcate dell'Aqua Marcia erano state progettate per uno, e non per tre acquedotti sovrapposti; per questo esse vennero più volte rafforzate, dai muri in opera reticolata del I secolo fino ai rivestimenti in laterizio al tempo dell'imperatore Tito (79-81 d.C.) e dell'imperatore Diocleziano (284-305 d.C.), questi ultimi ancora presenti in entrambi i fianchi dell'acquedotto.
Quando nel 1574 papa Gregorio XIII apriva porta S. Giovanni e inaugurava la via Appia Nuova, l'unico acquedotto rimasto in funzione era l'acquedotto Vergine, e gli abitanti di Trastevere e di molti altri rioni erano costretti a bere l'acqua del Tevere, talvolta depurata dentro le cisterne, talvolta no. I colli erano praticamente disabitati e coltivati a vigneto, mentre per la città giravano gli "acquaroli", i venditori d'acqua.
Per questo motivo, il 5 maggio 1585 papa SISTO V (Felice Peretti), ad appena 10 giorni dall'elevazione al pontificato, intraprese la costruzione di un nuovo acquedotto, lungo 28,7 km, chiamato acquedotto Felice dal nome di battesimo del papa; l'opera, che avrebbe condotto a Roma le acque della campagna tra Zagarolo e Palestrina (circa 50 metri cubi d'acqua al minuto), aveva lo scopo di rifornire la parte alta della città (Esquilino, Viminale, Quirinale) allora priva di una rete di distribuzione idrica, nonché di alimentare le sei fontane della villa papale presso le Terme di Diocleziano.
La direzione dei lavori fu inizialmente affidata a Matteo Bartolani da Castello; quando questi però spese una quantità ingentissima di denaro per costruire un condotto che non pendeva dalle sorgenti verso Roma, ma da Roma verso le sorgenti, Sisto V incaricò della direzione Giovanni Fontana, che sostituì il Bartolani e portò a termine l'opera in soli due anni.
Come per altre opere rinascimentali, non ci si fece scrupolo di demolire importanti resti del passato. Così, per la costruzione dell'acquedotto, Sisto V si servì dei materiali dell'acquedotto di Claudio e degli archi dell'acquedotto Marcio; sopra le fondamenta romane furono così innalzate le nuove arcate, che, come si può vedere, sono più piccole e rade delle arcate tipiche degli acquedotti antichi, ed hanno i piloni più massicci. In alto, il condotto è coperto con una volta a botte per proteggere l'acqua da polvere, terra ecc. L'aver ricalcato l'acquedotto Marcio indusse tra l'altro Sisto V nell'erronea convinzione di aver ricondotto a Roma l'acqua Marcia e l'acqua Appia.
L'acquedotto ANIO VETUS fu il secondo acquedotto di Roma, costruito dai censori Marcio Curio Dentato e Fulvio Flacco tra il 272 e il 269 a.C. con il bottino ricavato dalla vittoria su Pirro.
L'acqua era captata dal fiume Aniene all'altezza di Vicovaro, tramite un laghetto artificiale che permetteva la decantazione delle acque.
L'acquedotto aveva una portata di 180.000 metri cubi d'acqua al giorno, e seguiva, per mantenersi in quota, un percorso tortuoso e lunghissimo (circa 64 km) quasi sempre sotterraneo; questo sia perché non era stata sviluppata la tecnica delle grandi arcate in opera quadrata, sia perché l'Italia non era ancora del tutto pacificata, il che costituiva un pericolo per un acquedotto troppo evidente.
Dalle Capannelle il tracciato dell'acquedotto, sempre sotterraneo, corre parallelamente agli altri, e all'altezza di via del Quadraro diventa più o meno coincidente con la sede della ferrovia.
In età imperiale l'urbanizzazione intensiva della zona tra Vicovaro e Mandela provocò l'inquinamento dell'acqua, che da allora in poi fu destinata esclusivamente all'irrigazione e alle fontane.
Sia l'acquedotto di CLAUDIO che L'ANIO NOVUS furono iniziati dall'imperatore Caligola e furono completati dall'imperatore Claudio intorno al 52 d.C.; l'acqua Claudia proveniva da sorgenti di ottima qualità situate nell'alta valle dell'Aniene a poca distanza da quelle dell'acqua Marcia, e il percorso complessivo, dalle sorgenti fino alla città, era di quasi 69 km.
L'ANIO NOVUS (cioè Aniene Nuovo, per distinguerlo dall'Anio Vetus) captava in origine l'acqua direttamente alle sorgenti del fiume Aniene, e la portava a Roma, dopo un percorso di 87 km, alla quota più alta tra tutti gli acquedotti (62 metri s.l.m.); una sua diramazione richiese la costruzione, in corrispondenza del passo dello Stonio, di un canale sottrerraneo lungo 4 km e profondo fino a 140 metri. La torbidità dell'acqua costrinse gli ingegneri romani, al tempo dell'imperatore Traiano, a depurarla facendola fermare nei tre laghetti artificiali costruiti a suo tempo da Nerone presso Subiaco.
I tre laghetti costituivano essi stessi una notevole opera di ingegneria; il mediano era sostenuto da una diga colossale alta 40 metri (il Colosseo è poco più alto: 49 metri), crollata assieme agli altri sbarramenti a causa di un'alluvione nel 1300.
La vicinanza dei due acquedotti con l'acquedotto Marcio permise agli architetti imperiali di costruire imponenti opere per l'interscambio delle acque, in modo che, in caso di manutenzione di un acquedotto, fosse possibile dirottare l'acqua sugli altri.
Come il Marcio, anche l'acquedotto di Claudio e l'Anio Novus erano dotati, nei pressi di Capannelle, di piscine limarie per la depurazione dell'acqua; da lì cominciava il tratto sopraelevato con le arcate in opera quadrata di peperino, che raggiungevano la massima altezza di 28 metri dalle parti di via del Quadraro.
Entrambi gli acquedotti avevano una portata di circa 190.000 metri cubi d'acqua al giorno
Sopra il canale dell'Aqua Claudia si intravede un secondo canale, più o meno della stessa sezione, costruito stavolta in laterizio; è l'acquedotto Anio Novus, cioè Aniene Nuovo, così chiamato per distinguerlo dall'Anio Vetus, costruito più di 3 secoli prima e le cui acque erano ormai buone solo per le fontane.
Le arcate dell'acquedotto di Claudio furono rafforzate all'interno, al tempo dell'imperatore Adriano (117-138 d.C.), con due ordini di archi in calcestruzzo rivestiti in laterizio, di cui troviamo un esempio sulla destra al di là della strada; i due archi in laterizio sovrapposti che si vedono sono l'unica parte dell'acquedotto rimasta dopo che i blocchi di tufo furono asportati nel passato per servire come materiale da costruzione.
Guardando alla sinistra delle arcate, si riconoscono i lavori di restauro del tempo dell'imperatore Settimio Severo (193-211 d.C.): per prima cosa gli spazi vuoti rimasti sotto gli archi doppi di Adriano furono riempiti di calcestruzzo, quindi le pareti furono fasciate con un muro in laterizio con tre ordini di arcate.
Il muro di Settimio Severo è ancora visibile lungo quasi tutta la parete, ma solo nella parte più bassa, dal momento che un ulteriore restauro, portato in epoca successiva, ricostruì la metà superiore del rivestimento, arrivando ad inglobare perfino i due canali dell'Aqua Claudia e dell'Anio Novus.
Le acque avevano un tale contenuto calcareo che periodicamente era necessario interrompere il flusso per scrostare le pareti dei canali.
Degli appositi tombini consentivano di entrare nel canale; i residui di materiale calcareo venivano poi gettati nei pressi, e una tale attività, durata ininterrottamente per centinaia di anni, provocò l'accumulo di tali quantità di materiale che questo fu usato in molti casi come pietra da costruzione.
La costruzione e la manutenzione degli acquedotti, che in età repubblicana era competenza dei censori, fu affidata, in età imperiale, al cosiddetto " curator aquarum” un magistrato che rispondeva direttamente al prefetto o all'imperatore, e che aveva a disposizione uno "staff" di architetti, tecnici, operai e amministratori (la "familia Aquarum").
Le nostre conoscenze degli acquedotti le dobbiamo, oltre che al buono stato di alcuni di essi, anche al ritrovamento del libro che Sesto Giulio Frontino, curator aquarum al tempo dell'imperiatore Traiano, scrisse nel 97 d.C., riportando posizione, sorgenti, percorso e portata di tutti gli acquedotti allora esistenti; con tale libro Frontino volle celebrare la magnificenza degli acquedotti da lui amministrati, che volle contrapporre alle altre grandi opere monumentali conosciute allora, tra cui le "oziose piramidi o le inutili, benché famose, opere dei Greci".
La manutenzione consisteva sia nelle ordinarie opere di riparazione dalle perdite (nonché nella repressione delle captazioni abusive), sia nella costruzione di imponenti opere di rinforzo.
L'acquedotto Antoniniano
All'altezza di porta Furba dall'acquedotto Marcio si staccava l'acquedotto Antoniniano, che passava sulla via Latina nei pressi di via dei Cessati Spiriti, raggiungeva e costeggiava le Mura Aureliane, ed alimentava infine le grandiose terme di Caracalla. Dell'intero percorso restano solo un segmento al centro di piazza Galeria, e l'arco monumentale (detto arco di Druso) sulla via Appia Antica dietro porta S. Sebastiano. L'acquedotto Antoniniano fu costruito intorno al 215 d.C. dall'imperatore Caracalla per alimentare le terme appena costruite.

Gli altri acquedotti di Roma
Oltre ai sei acquedotti che abbiamo descritto, Roma aveva altri cinque acquedotti principali più varie diramazioni secondarie.
Il più antico di tutti gli acquedotti principali fu L'AQUA APPIA, realizzato dallo stesso costruttore della via Appia Antica. L'acqua era captata dalla via Prenestina a 7-8 km da Roma, e arrivava in città ad una quota molto bassa, per terminare al foro Boario (dove oggi è l'Anagrafe); lì era il porto della Roma repubblicana, meta di viaggiatori provenienti da tutto il Mediterraneo, e quindi la presenza di acqua potabile rivestiva anche fini evidentemente propagandistici. L'acquedotto Appio, a parte qualche tratto urbano in blocchi di tufo, non è stato più ritrovato.
Al tempo di Augusto fu costruito l'acquedotto VERGINE, che è l'unico rimasto sempre in funzione sin dall'antichità, ed alimenta oggi la fontana di Trevi.
L'acqua ALSIETINA prendeva l'acqua dal lago di Martignano e serviva per le grandi naumachie che si tenevano a Trastevere.
Un altro acquedotto, che oggi alimenta il fontanone del Gianicolo, fu costruito da TRAIANO captando l'acqua di numerose sorgenti ai bordi del lago di Bracciano.
L'ultimo grande acquedotto è stato L'ALESSANDRINO, che aveva le sorgenti a Pantano Borghese sotto Colonna, e portava l'acqua a Roma con 24 km di archi in laterizio; il tratto più spettacolare lo si attraversa a viale P. Togliatti.

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